Dopo decenni di fumetti fatti cercando di seguire la formula che garantisce il successo, eccone uno fatto come non si dovrebbe. Ed è una vera
figata… meraviglia
A novembre, la Panini Comics ha distribuito nelle edicole e nelle fumetterie il numero 1 di Nirvana, un fumetto per molti versi simile, nel formato e nello spirito, al celeberrimo Rat-Man.
“Eccolo” ho pensato “un altro clone che cerca di copiare un successo inimitabile”. E così, intimamente prevenuto ed esternamente schifato, ho sfogliato il fumetto sotto gli occhi dell’attento giornalaio. E quel che ho visto nei due picosecondi concessimi dal cerbero mi hanno convinto a separarmi da ben 290 centesimi di euro.
Poi, una volta a casa, ho incominciato a leggere. Ovviamente ho messo in piedi tutti i sacri riti obbligatori per ogni numero 1: isolamento totale, massima concentrazione e vestaglia di flanella. Mancavano la frittatona di cipolle, la birra e il rutto libero, ma l’atmosfera era quella giusta.
Be’, effettivamente Nirvana è simile a Rat-Man, ma lo è quanto South Park è simile ai Simpson. Come South Park, Nirvana è graffiante, scorretto, del tutto amorale (nel senso proprio di senza morale), privo di lieto fine e politicizzato. In più, è curatissimo, originale e ben congegnato. Infine, è davvero ispirato.
Insomma, una vera boccata d’aria pura in un’edicola inquinata da troppe banalità.
Il soggetto e la sceneggiatura di Emiliano Pagani sono le testate d’angolo su cui si fonda tutta l’impalcatura. Come accennavo, la struttura è solida, la sceneggiatura procede a forza di flashback e di flashforward ma, dopo il primo smarrimento iniziale, ci si lascia condurre dal padrone del vapore e ci si gode il panorama. La trama, di per sé semplice nel suo essere stralunata (a proposito: ora che siamo amici, Emiliano, confidami chi è il tuo pusher...) è costantemente arricchita da cagate guizzi d’ironia e nonsensi che spiazzano il lettore e che gli strappano la risata.
L’interpretazione grafica di Daniele Caluri è perfetta: segno pulito e quasi minimalista, è tuttavia anch’esso curatissimo e interpreta ottimamente lo spirito della storia. Sembra quasi di essere tornati ai tempi d’oro di Alan Ford, quando un Magnus in gran forma riusciva a tirare fuori il meglio dai personaggi di Max Bunker.
I due autori, toscanacci maledetti che nella rubrica delle minchiate della posta si fanno chiamare collettivamente “i Paguri”, sono collaboratori storici del Vernacoliere. Ciò spiega benissimo gli evidenti sintomi di demenza satira sociale che traspaiono dalla loro opera.
Fonte: claudioromeo.it